Non chiamiamola più "crisi"!

Articolo inedito redatto il 26 novembre 2009, ritrovato oggi. Lo pubblico fedelmente.

Non chiamiamola più crisi. Ha poco senso continuare ad evocare un fenomeno che sembra scomparire a breve. Quello che è successo sta mescolando le carte per un futuro diverso dell’economia padovana da come l’abbiamo intesa fino ad oggi.

Cominciamo a riflettere dai dati del sondaggio sulla congiuntura economica rilevati dalle aziende associate ad Apindustria Padova a ottobre 2009. Dalle ultime analisi si può confermare l’arresto della contrazione di ordini, ma in uno scenario di estrema scarsità si lavora “a vista”, con magazzini ridotti all’osso e condizioni svantaggiose per i fornitori affamati di lavoro per mantenere occupazione ed investimenti. In queste condizioni i margini sono sistematicamente erosi dalla mancanza di programmazione e gestione, amplificando le inefficienze. Gli associati prevedono mediamente una chiusura di bilanci di quest’anno con un -10%, valutando stabile l’ultimo trimestre.

Futuro? Ripresa? Spiacenti, pare di no. Rimane il pessimismo e per i prossimi mesi non si intravedono importanti inversioni di tendenza. Il rapporto sulla congiuntura della Camera Di Commercio di Padova sostanzialmente conferma la nostra analisi di un anno con ordini, fatturati, occupazione, vendite al dettaglio, export con segno meno, ricordandoci che si è interrotta una caduta dopo 20 mesi consecutivi di calo di produzione industriale. E ci informa che siamo ancora pessimisti sulle previsioni dei prossimi mesi, ma un po’ meno rispetto alla scorsa primavera.

Qualcosa è cambiato. Ma non chiamiamola più crisi, non illudiamoci. Qualora sia questo il nuovo assetto per il livello produttivo, non dimentichiamoci che abbiamo lasciato per strada quasi 20000 persone in un anno, pensare di riassorbirle in breve tempo è fantasia. E sarà il loro futuro la nostra preoccupazione maggiore e l’indice del nostro livello competitivo.

Parliamo di banche, e del fragile equilibrio dei loro rapporti con le imprese. Tra ABI e le associazioni datoriali, con Confapi in prima linea, c’è un rimpallo di accuse tra chi da una parte subisce improvvise chiusure di linee di credito e chi dall’altra risponde evidenziando disponibilità in aumento e cali di richieste. In mezzo c’è un protocollo, nato con lo scopo dichiarato di garantire la stabilità del sistema finanziario. Ma non è stato così, e ora Basilea2 comincia a manifestare alcuni effetti perversi per molte aziende. Con la ripresa degli ordini infatti serve credito, quello che è stato ritirato in questi mesi, ma che ora non viene più erogato. E quindi il sistema del rating diventa un alibi o un ostacolo insormontabile e rischia così di aggiungere la beffa al danno.

Il governo ha concentrato in questo ambito le energie per arrivare alla moratoria sul credito, chiesta a gran voce da più parti. La realtà evidenziata dai nostri associati sta dimostrando che questo strumento viene usato in minima parte, malgrado sia conosciuto da tutti. I motivi sono facili da intuire e pongono ulteriori dilemmi sul futuro equilibrio del rapporto banca-impresa. Rimane una diffusa sfiducia nel sistema bancario, in particolare con i maggiori istituti di credito. La domanda di moratoria include l’implicita ammissione di difficoltà economiche della propria azienda, con conseguenze indirette ma, come abbiamo visto, assolutamente determinanti.

A fronte di questa situazione, il tessuto economico della nostra provincia saprà essere ancora virtuoso perché non è condizionato da nessun distretto produttivo predominante, ma presenta molte specificità e molte eccellenze su diversi settori che potranno fare da traino su nuovi scenari soprattutto rivolti all’export. Le sofferenze maggiori hanno colpito il comparto della subfornitura meccanica, che sta cercando anche grazie ad Apindustria Padova e alla Camera di Commercio un nuovo sistema di organizzazione settoriale ed approccio al mercato. E’ triste notare che le istanze delle associazioni nei confronti delle istituzioni sono rimaste in secondo piano, in questo periodo che crisi ormai non è: pressione fiscale, inefficienza burocratica, lungaggini amministrative, e tutti quei costi che placcano le energie dei nostri uomini che ogni giorni in azienda dimostrano di credere nella centralità del lavoro come sviluppo sociale.

E l’Italia ci crede ancora?

Riflessioni per il prossimo modello nordest

Voglio condividere alcune sfumature del vivere passato ed attuale dell’imprenditore nordestino. Sono tutte cose mie, che portano con sè la limitatezza della mia esperienza ma rimangono scorci autentici e mi auguro obiettivi.

Il nordest: alcuni lo definiscono il “miracolo”, ma è meglio definirlo un modello che si è sviluppato in una determinata zona geografica in un certo periodo storico. Ha sviluppato attorno al suo vivere alcune regole di management specifiche, spesso contrarie ad altre contemporanee di uso comune. E’ importante analizzarle in senso critico perché su di esse si basa buona parte dell’attuale seconda generazione, che ha assorbito gli insegnamenti dai genitori e non può esercitare forme diverse di conduzione aziendale, perchè non conosce altri stili o per imposizioni dai senior.

Testa bassa vanti sempre! Questa è la regola numero zero. Un inno alla produttività, alle 16 ore in azienda, all’abnegazione totale. Sempre avanti perché non ci si può fermare, per nessun motivo, neppure per pensare a quello che si sta facendo. I figli alla baby-sitter, sport concesso solo il calcio, in tv la domenica. Una dimostrazione che il fallimento è solo una conseguenza della prigrizia. Vietato farsi domande. Formazione? Sitto matto? Ancora qui a leggere il blog???

Innovazione e conoscenza. Qui la prima è l’acquisto di un nuovo macchinario, la seconda è misurata dal tuo titolo di studio e dagli anni che hai lavorato nel settore Di fatto c’è una continua innovazione, di tipo soft, che avviene quasi totalmente dentro l’azienda e con un grosso impegno per il controllo. Questo modus operandi comporta l’esclusione del sapere universitario, oggi sempre e troppo distante dalle pmi, e di fatto è difficilmente misurabile dagli indicatori di innovazione usati, ad esempio, dalla Comunità Europea.

Il sapere è la merce di questo secolo. Diventa importante far conoscere a tutta l’azienda dove trovare l’informazione necessaria. E fargliela trovare prima possibile, magari giusta. In questo scenario non ci possono essere colli di bottiglia legati alla disponibilità della singola persona. Ma qui nelle nostre fabbrichette uno dei comandamenti recita “il titolare deve sapere tutto”, sennò che titolare sei? Ho visto troppi talenti sprecati, e che con il tempo si sono stancati, a causa dei vincoli e paletti imposti dai loro datori di lavoro. Durante l’ultimo ApiFocus un collega recitava più o meno: “Devo andare io a cercare nuovi clienti perchè solo io posso sapere cosa è in grado di fare la mia azienda”. Si spiega da solo.

L’ultima sfida da vincere, il mostro finale della trasformazione dell’economia di queste zone, è accettare che il capo, come lo abbiamo inteso fino ad ora, è morto. Come vengono percepiti oggi i maestri, i dottori, i politici, i preti, rispetto a venti, trent’anni fa? Non ci trovo nulla di sbagliato nella situazione attuale, e sono consapevole del fatto che i leader ci devono essere. E come potranno imporsi sugli altri? Semplicemente non dovranno più pensare di farlo. All’autorità va sostituita l’autorevolezza, il consenso si guadagna attorno a proposte concrete e a benefici riconosciuti.

Chi sogna oggi di essere imprenditore dovrebbe sintonizzare la propria missione con paradigmi diversi. Da un passato in cui il fondatore era anche colonna portante, spina dorsale e riferimento per tutto lo scibile, a nuovi sistemi dove la fiducia e responsabilità condivisa consentino la formazione di centri decisionali decentratri che si formano per aggregazione di competenze dei nuovi imprenditori, i dipendenti. L’azienda che cammina con le proprie gambe deve diventare una scadenza di medio termine nelle agende di tutti noi.

Come si fa? Non lo so, e non fidatevi di chi dice di saperlo. Metabolizziamo la convinzione che oggi non ci sono più regole, fomule segrete. Serve il giusto atteggiamento, la consapevolezza della responsabilità di ogni azione, la ricerca della meritocrazia nell’ambiente di riferimento.

Grazie per aver letto questa mia riflessione, utile soprattutto a me nella ricerca del distillato dell’imprenditore ideale. I commenti sono molto graditi.

Non ho risposte alle vostre domande

A volte, preso dalla curiosità, sfoglio le statistiche di visita di questo blog. Vanno bene, sempre meglio. Gli articoli sono molti, si entra qui cercando un po’ di tutto.

Ma da circa 3 mesi c’è una frase magica, uno slogan che giornalmente è al top delle frasi googlate: crisi economica 2010. Merito, credo, di un paio di articoli nei quali mi ero preso la briga di analizzare con un pizzico di lucidità le proiezioni finto-ottimistiche rimbalzate crescendo nei media con lo scopo di tranquillizzare gli animi impauriti di chi viveva uno scenario economico travolto da una crisi che ha spazzato via posti, fabbriche, distretti.

Nei primi posti non mancano mai altri argomenti dannatamente seri, quotidiani rebus moderni: accesso al credito, finanziamenti per imprese, banche e giovani imprenditori, eccetera.

Vivo la lettura di quelle ricerche come dei quesiti che cercano risposte immediate e sicure. Potendo, chiederei le storie e le situazioni di chi ora è in difficoltà, per capire come potrei aiutarle. Ma credo di non avere le risposte. Le risposte, purtroppo, non le ha nessuno.

La cosa che mi rende più spaventato è l’alto numero di vite umane che ha deciso di arrendersi, di lasciarci alle nostre sfide, mettendo la parola fine cercando di spiegarlo a moglie e figli con una lettera. Non abbiamo fatto abbastanza, forse. Si muore per lavoro anche così. Anche oggi. Nella mia città.

Chi pensava ad un forte cambiamento dato dall’emergenza economica, ha preso un abbaglio. Le aziende, quelle rimaste, si sono appena scosse, lamentate, hanno ridotto il personale e i margini. Ma finora nessuna rivoluzione.

La velocità del cambiamento ha la stessa velocità del cambio generazionale. Ripensando ad oggi, alle mie esperienze, ne trovo una conferma.

Scena 1: trovo un appunto nella scrivania, un cliente mi ha cercato perché non capisce cosa gli avevo scritto ieri in email. Chiede di essere richiamato. Al telefono mi fa intendere di aver capito, infatti mi chiede esterefatto solamente come mai io uso comunicare con loro via posta eletronica.

Scena 2: mi chiama un cliente, mi dice un sacco di cose, vuole un preventivo. Prima di farmi ripetere, gli chiedo come mai non mi ha fatto un fax, per evitare errori: sai, dovrei chiedere a mia figlia, facciamo prima così.

Scena 3: una ragazza, massimo 22 anni, è entrata in ufficio chiedendo se stavamo cercando una segretaria. In mano una busta colorata piena di curriculum stampati a colori, con la foto. Alla mia risposta negativa, ha ringraziato e salutato cordialmente, uscando per ragiungere prontamente il cancello successivo.

Ci sarà una ripresa, una nuova alba, ma non sarà domani mattina. Forse la vedranno i bambini di oggi. La ragazza che chiede porta a porta un posto di lavoro ha già intuito lo scenario. Le auguro tutta la fortuna del mondo. Il disoccupato che cerca lavoro per non vendere la moto, vive con i genitori e viene a colloquio con il bmw, forse no. Buona fortuna anche a lui.

Generazione startup

Ho avuto la fortuna di accompagnare Mattia ad una fiera del settore moda, a Barcellona. Per me è stata un’esperienza estremamente nutriente di stimoli e senzazioni, una 4 giorni per immergermi in un pizzico dell’attuale umore giovanile.

Non lavoro nel mondo della moda e mi considero l’opposto di un fashion victim. E con l’occhio curioso e innocente ho visto gli stand, i tessuti e i campioni esposti. La gente, le indossatrici, gli uomini d’affari. Scenografie e musica di sottofondo. Volevo farmi colpire, carpire da questo mondo un po’  a sè che ci veste tutti quanti. Senza difese e pregiudizi, solo la voglia di inquadrare il concetto di brand. Al The Brandery, e dove sennò?

Solo un attimo, voglio presentarvi Mattia. Ha lanciato il suo nuovo brand di abbigliamento. Principalmente tshirt e felpe mirate ad un cliente giovane. Non per fama, ma per la soddisfazione di realizzare il suo genio artistico. Ogni sua creazione ti fa dire UAU, anche il biglietto da visita. Mattia voleva capire dalla fiera le tendenze delle prossime collezioni, le grafiche e i colori dominanti. Non che non lo sa, semplicemente era alla ricerca di conferme.

Ho letto da qualche parte che il brand è in definitiva “quello che dicono di te quando tu non ci sei”. Nel settore moda assume la declinazione di “dimmi di che marca sono i tuoi jeans e ti dirò chi sei”. C’è molto oltre il prodotto, la maglia o la giacca. Ma è poco più di niente. Il brand ti vende quello che tu vuoi dimostrare agli altri. Elegante, casual, vintage, marinaio, colorato, sportivo, minimal, street, metropolitan. Sei etichettato, c’è un genere per ogni capo prodotto e viceversa, per quelli come me che non amano etichette bisogna farsene una ragione.

Mattia sembra guardare tutto, ma non è così. E’ sotto l’allucinazione dei suoi pensieri creativi alimentati dagli energy drink e vede in quelle gruccie che sta sfogliando con le dita le sue maglie, le sue giacche, con la sua grafica e i suoi materiali ecologici. I suoi occhi azzurri scrutano e sono oltre, le idee sono nell’aria e lui ha la visione da realtà aumentata di fissarle.

Lo osservo, lo seguo da 3 passi indietro, scatto foto. Anche lui dice UAU, raramente. Mi piace la sua spontaneità nel voler conoscere le persone che lo incuriosiscono. Ecco che abbiamo incontrato altri giovani talenti, che fanno cose davvero belle. Perchè si sono staccati da idee vecchie, e ricercano forme classiche da nuovi materiali, da lavorazioni artigianali, da particolari che innovano il classico. Sfumano i vecchi concetti, largo alla sostanza.

Giovani del mondo. Che abbiamo incontrato nell’ostello di una città cosmopolita per definizione. Barcellona è come Padova. Piena di universitari con le loro zone, le aule studio, i parchi, i bar aperti fino a tardi e le biciclette. I quartieri etnici ma la sicurezza che non ti succederà nulla se torni a piedi a tarda notte. Pochi autoctoni. Scenario precario in generale.

Chissà dove si vedono tra 20 anni gli studenti che ogni giorno attraversano la Rambla, tedeschi, francesi, italiani che grazie all’Erasmus e a Facebook non hanno più confini.  Chissà se si sentono, almeno loro, europei. E se gli piace davvero la loro mobilità sociale e fisica che all’università diventa stile di vita per sopravvivere. Intanto qualche intrepido ci sta già facendo assaggiare qualche sorso di come sarà. Come Mattia. C’è da aver fiducia.

Generazioni | Quando la famiglia fa impresa

Recensione del libro “Generazioni | Quando la famiglia fa impresa”, 2009, ed. Delmiglio Editore

PMI, piccole e medie imprese: si usa sovente nominare così l’insieme delle attività economiche capillarmente diffuse nel territorio italiano, triveneto in particolare. Questa definizione sottintende la dimensione per fatturato o numero di dipendenti con criteri stabiliti dalla Comunità Europea.

Bisognerebbe chiamarle però aziende a conduzione familiare, ed ecco che cambia la prospettiva per indicare lo stesso sistema, che in Italia rappresenta oltre il 90% di imprese.

Generazioni, quando la famiglia fa impresa, racconta di queste realtà. L’originalità dell’idea di questo libro è il punto di vista e la voce narrante. Gli imprenditori parlano in prima persona delle loro famiglie e della loro carriera in azienda. Parla il “senior”, spesso fondatore, e il “rampollo” di prossima generazione. Le domande dell’autore indagano sul metodo di inserimento in azienda, sul rapporto con il genitore e sul metodo adottato. Si sondano le aspettative che responsabilizzano le nuove leve, le differenze di approccio per il passaggio di testimone in epoche remote rispetto a quelle attuali.

Le aziende gestite da queste famiglie hanno origini in epoche diverse, chi da garage durante il periodo di espansione economica del dopoguerra, altre molto più antiche o recenti, ruotano attorno al genio creativo, la passione o la capacità manuale del fondatore. Attorno a lui la famiglia entra nell’attività, spesso la moglie è presente in seconda linea nelle funzioni amministrative, e ai figli viene offerta un’opportunità.

Emerge infatti dalle storie una strategia comune da parte di chi tiene i comandi dell’azienda: coinvolgere i discendenti con i valori, le responsabilità e le soddisfazioni di essere imprenditori. E la possibilità di dimostrare sul campo di avere la stoffa. I figli comprendono che nulla è dovuto perchè il mondo del lavoro non regala niente.

In una citazione: patti generazionali chiari e amicizia lunga. Coltivando il sogno della famiglia in trasformazione verso una dinastia imprenditoriale.

Per approfondire: www.excellecebook.it
Le foto della presentazione del libro sono in questa gallery.

Vuoi una copia del libro? Prenotala lasciando un commento a questo messaggio.

Green Revolution e Cena di Natale 2009 | Le foto

Inauguriamo la nostra gallery fotografica del nuovo account dedicato Flickr. Sono già online le migliori foto dell’evento “Green Revolution and New Business Opportunities” e della Cena di Natale 2009 per gli associati Apindustria Padova.

Enjoy!

Il futuro si fabbrica

Riprendo degli appunti di un convegno di qualche settimana, forse già dimenticato da tutti. Si è tenuto a Verona, organizzato da FAPI. Scrivo per lasciare traccia di alcuni spunti che ho condiviso o che mi hanno impressionato, estrapolati da discorsi più ampi giusto in tempo per trasformarli in un segno nel blocco. Non si sostiene nessuna tesi, non è un vero e proprio racconto discorsivo ma un insieme ordinato di paragrafi come sintesi di una discussione che dalla formazione continua nella imprese si è spostata in territori confinanti. A voi.

prof. Enzo Rullani

Facciamo poca formazione e la facciamo sbagliata. Per il nostro territorio questo è un paradosso: il capitalismo delle PMI è basato sulle persone, non su automatismi. Le persone vanno formate per essere pronte ed efficaci, e chi lavora oggi ha imparato sul campo, ma in futuro basterà? L’apprendimento sul campo è una soluzione percorribile? Da questo dato di fatto, per il professore gli attori del sistema economico del nordest devono affrontare due sfide importanti.

La prima riguarda i legami tra le persone. La fiducia, da ricostruire, tra clienti e fornitori, tra banca e azienda. Senza fiducia il sistema economico non può reggere. Ognuno per la propria parte è responsabile della filiera economica, e quindi fa parte della collettività che si prende carico del proprio futuro. Significa capire che ogni crescita economica fondata du basi fragili prima o poi crollerà, quindi è saggio condividere i guadagni ed anche le perdite, evitando il gioco del cerino tanto di moda in questi giorni di scarsa liquidità. Il cambiamento sta cambiando, il capitalismo per come lo conosciamo sta cambiando perchè si basa su regole che oggi semplicemente non ci sono più.

Seconda sfida: crisi di competitività. La sostenibilità del sistema oggi significa avere nuove idee dalle quali attingere, ma gli investimenti sono troppo bassi. Gli investimenti devono essere dirottati verso lo sviluppo di nuove competenze, i risultati sarebbero una produzione legata allo stile di vita più desiderato, e a soluzioni nuove per le filiere che oggi soffrono, ad esempio inglobando concorrenti di subfornitura meccanica in una nuova azienda di Global Service.

La formazione continua è un pilastro della nuova sfera del lavoratore, che sarà sempre più simile a quella imprenditoriale: responsabilità, flessibilità, investimento su sé stessi, rischio, autonomia. Ma dev’essere conveniente, ad esempio per l’azienda non dover pagare il costo della formazione per poi sciuparlo con un licenziamento improvviso, e al dipendente che deve trovare merito e riconoscimento per la sua professionalità.

dott. Paolo Galassi

Durante le crisi passate, gli imprenditori veneti hanno preso la valigia e sono andati in giro per il mondo a prendere clienti. Oggi non possiamo più permettercelo, i costi di produzione in Italia ci permettono di resistere solo nelle nicchie ad alto valore aggiunto. Abbiamo i costi più alti di tutti per l’energia e per la manodopera. I giovani d’oggi vedono già il futuro di una Italia che ci mette la mente e le braccia sono all’estero. Questi segnali dovrebbero bastare a convincere che, se la coperta è corta, bisogna tirarla verso chi produce.

Il 2009 si chiuderà con molti bilanci in perdita a causa dell’IRAP, a cascata ci sarà un peggioramento del rating di Basilea2 e quindi dei rapporti con le banche. E’ svanito il conflitto tra imprenditore e dipendente, perchè è svanita la ricchezza da contendere.

Il sommerso va eliminato, il carico fiscale per ognuno potrebbe essere inferiore di oltre il 5%. Le regole del paese non sono più chiare, nel mondo globalizzato non ce lo possiamo permettere.

Senatore Nicola Rossi

Il meccanismo di calcolo dell’IRAP evidenzia che chi l’ha creato era ignorante in materia di processi aziendali. E’ una tassa che va abolita, è sbagliata alla radice. Bisognerrebbe affrontare delle riforme politiche difficili per andare a prendere i soldi dove sono, concentrati in gruppi di potere con forti capacità di pressione. E mentre la voce di spesa pubblica cresce a doppia cifra, nessuno ha il coraggio di dire che la festa è finita. Serve ancora inglese e informatica nelle scuole, ma anche formazione specifica. I fondi a disposizione ci sono ma vengono utilizzati male.

Dott. Paolo Galassi

Il rapporto formativo dev’essere orientato dall’impresa. Oggi è sempre il barone universitario che decide il piano di studi. Un salto di quallità significativo è la possibilità di fornire alle aziende esattamente ciò di cui hanno necessità.

Gestire la conoscenza

Recensione del libro “Gestire la conoscenza per spingere la crescita”, 2007, ed. ETAS

Non è il manuale perfetto. Non ci sono manuali perfetti che ti insegnano a gestire efficacemente la conoscenza in azienda. Bisogna tener conto che l’editore originale è l’Harvard Business School Press, che cita casi di riferimento grandi aziende statunitensi, che hanno gli stessi problemi delle nostre fabbrichette, con la differenza che danno un nome ad ogni cosa.

Caro imprenditore che stai leggendo, ascoltami bene: se domani mattina il tuo miglior collaboratore presentasse le dimissioni, di quanto valore si priverà l’azienda? Come posso garantire ai membri dell’azienda la disponibilità di informazioni precise nel momento del bisogno o in situazioni critiche? Pensa ad esempio mentre qualcuno è al telefono con un cliente o al collaboratore alle prese con un collaudo sopra un ponteggio…

Le soluzioni a queste domande vanno oltre la gestione delle proprietà di idee e di brevetti. Si tratta piuttosto della capacità di mettere a valore condiviso le conoscenze implicite, ovvero quelle che sono solo nella testa di ognuno, affinchè possano essere utilizzate per agevolare le attività lavorative, allineando quindi i metodi e le strategie di ogni reparto. Capita spesso che le strategie importanti, l’ultima chiacchiera sul quel concorrente o quel cliente, l’idea per investire nella prossima azione di sviluppo di prodotto vengano decise nei corridoi degli uffici, tra una telefonata ed un appuntamento. Niente convocazioni, nessun ordine del giorno. Però anche questi incontri informali dovrebbero avere un verbale, una to-do-list, al bisogno possono diventare utilissimi.

La disciplina chiamata in causa per gestire la conoscenza si chiama Knowledge Management, si tratta di un processo formale e guidato attraverso cui si stabilisce quali informazioni, tra quelle in possesso di un’azienda, possono risultare utili ad altre persone e i modi in cui rendere questi dati facilmente accessibili. Nessuna nuova conoscenza, ma conoscere e padroneggiare quella esistente.

Il bello di questo libro sono gli approfondimenti alle questioni più delicate per la riuscita di una cultura aziendale fondata sulla condivisione di esperienze e best-practice. Ricordiamoci che, in estrema sintesi, si parla di persone, di abitudini e credenze e di naturale resistenza al cambiamento. E si parte dalla considerazione che la condivisione delle conoscenze è un atto innaturale. Sarà quindi semplice che le iniziative intraprese si arrestino. Lo strumento, sia esso una intranet, un wiki ecc, dovrebbe essere la conseguenza dell’analisi critica di quali skill contribuiscono maggiormente al business della propria azienda.

Leggendo ho imparato alcune cose, semplici ma molto intuitive, che mi aiuteranno ad affinare la mia strategia. La prima è che l’intelligenza si muove all’interno di un percorso sequenziale: dati, informazioni, sapere, saggezza. Funziona solo da sinistra verso destra. La seconda cosa importante è che il programma di KM tende ad uno di questi obiettivi: migliorare il rapporto con il cliente, arrivare più in fretta nel mercato, raggiungere l’eccellenza operativa.
E non dimentico che stamo vivendo l’epoca delle organizzazioni orizzontali, dove la ricerca del consenso che porta all’azione ha preso posto della verifica dell’obbedienza agli ordini.

Il libro riporta molti casi diversi per far capire la complessità dell’argomento. La conoscenza è multipla, saper fare, saper essere, in una frase bisogna cercare di creare un sistema per catturarla e renderla disponibile quando serve, nel momento del bisogno. Vanno ancora inventati indici e sistemi di misurazione per confrontare diverse pratiche e valorizzare l’importanza della conoscenza all’esterno della gesione manageriale, ad esempio la gestione contabile o il rapporto con una banca o un investitore.

Vi consiglio di leggerlo, perchè vi farete le domande giuste e per nulla scontate che eviteranno fallimenti e delusioni. E sempre sullo stesso tema, iscrivetevi per l’incontro con l’autore organizzato dal Gruppo Giovani Apindustria Verona del 10 dicembre 2009 dal titolo Il brainstorming è una gran cazzata.

Il calendario più furbo del 2010 te lo regala il gruppo giovani imprenditori

Perché un calendario compatto?

Il Compact Calendar è una brillante idea di David Seah, un designer statunitense che ha reso disponibile alcuni strumenti davvero utili per la produttività quotidiana. La versione in italiano è stata tradotta da Magnificaweb.

Perché è il calendario più ‘furbo’?

Ha molti vantaggi: lo puoi stampare in un solo foglio A4, è diviso per settimane per poter gestire più facilmente progetti e programmi di media e lunga durata. Non ci sono interruzioni tra i giorni e le feste comandate sono ben evidenziate.

Perché una to-do-list?

Quando, dopo una riunione o una telefonata, vuoi tenere a mente quali saranno i prossimi passi, hai bisogno di una lista di cose da fare. Dalla lista della spesa alle routine, quando impari ad usarle diventano un must!

E se desideri avere un blocco di liste da riempire, con il minimo impatto ambientale, ti consiglio di cliccare qui.

E l’ambiente?

Con la funzione di Excel, puoi stampare solamente il periodo dell’anno che ti interessa. E per ogni progetto puoi avere la sua brava lista di azioni da fare sul retro del foglio.

Quanto costa???

Solo 1 click.

Versione PDF
Versione XLS (Excel)
Versione ODS (OpenOffice)

Come ti trovi? Fammelo sapere nei commenti.

Demotopia | Cittadinanza digitale. Postdemocrazia?

Voglio fare la mia parte per divulgare un’iniziativa del Consiglio Regionale Veneto, per lo sviluppo di un tema molto caro a noi “cittadini della rete”

Sono venuto a conoscenza di questa iniziativa per caso, durante una passeggiata ad ExpoScuola. Spero di riuascire ad andarci di persona, altrimenti la seguirò dall’ufficio in streaming (e si potranno anche far domande dal web!) Siamo soliti, tutti, accusare la macchina pubblica di arretratezza e di chiusura, io per primo ritengo che la politica è ancora lontana da un principio di trasparenza vera necessario per entrare in rete. Quindi sono molto curioso di capire come si muove la Regione Veneto, dal mio punto di vista è un passo avanti rispetto a tutti.

E’ un diritto esprimere un parere contrario, nei modi giusti e leciti, quando la pubblica amministrazione diventa un ostacolo alla vita civile. Dovrebbe essere un dovere promuovere le iniziative che avvicinano il cittadino alla vita pubblica. Ecco perchè segnalo questo evento.

CITTADINANZA DIGITALE. POSTDEMOCRAZIA?

20 novembre 2009 – Venezia. Future Centre Telecom Italia

Programma della giornata
Ore 9.30
1. Saluti e apertura della giornata. Marino Finozzi, Presidente del Consiglio regionale del Veneto
2. Il progetto demotopia.net e il significato del convegno. Informazione e partecipazione principi costitutivi di un nuovo concetto di cittadinanza. Presentazione a cura di Cristiano Buffa (Aequinet)


Innovazione nella pubblica amministrazione. Qualificazione dei servizi, digital divide e partecipazione.

Ore 10,30
3. Obiettivi, metodologie e strumenti adottati in alcune esperienze di e-democracy promosse da pubbliche amministrazioni nel territorio veneto. Presentazione della ricerca. (relazione del Prof. Pino Gangemi, UniPD)
4. Qualificazione dei servizi o partecipazione. Obiettivi integrati o alternative? (Presentazione delle esperienze condotte dalle Amministrazioni di Padova, Verona, Venezia, Treviso, Belluno, Vicenza)
5. Metodologie e best pratices nella concertazione dei piani territoriali. Il ruolo svolto dai gruppi di interesse nella pianificazione concertata del territorio. Relazione di Associazione Fram_menti, Castelfranco Veneto
6. Nativi della rete e Pubbliche Amministrazioni. Inclusione, cooperazione o esclusione? (interventi di partecipanti e iscritti al network:: giovanidimarca.it, terremoto09 )


Democrazia consultiva. Il ruolo delle tecnologie, le regole della rete, come definire un protocollo partecipativo

Ore 12,15
7. Quali tecnologie e quali procedure adottare per alzare il livello della partecipazione? La PA deve operare come facilitatore di processo, i veri attori della partecipazione sono i cittadini. (relazione di Fiorella de Cindio e Cristian Peraboni, Università degli studi di MIlano)
8. Animazione e promozione nei social network. Come gestire il processo partecipativo. Dal marketing business alla politica. (relazione di Conrad Cancelli Web science)
9. Comunicazioni di iscritti al network

Buffet
Ora 13.30

Dalla parte del cittadino. Contesti, bisogni e progettualità partecipativa
Ora 14.30
10. Il ruolo dell’intermediario competente nella progettazione di iniziative partecipative promosse dalla pubblica amministrazione. Relazione di Csp, Piemonte
11. Se parliamo di rete, è necessario conoscere i cittadini che la frequentano.
Comportamenti, valori, abitudini e cultura dei cittadini della rete. Relazione di Paolo Ferrarini, Future Concept Lab
12. E’ opportuno operare su categorie definite di cittadini? Vantaggi e svantaggi di iniziative rivolte ai giovani (presentazione di Bollenti spiriti, Regione Puglia)
13. Si può fare business con l’e-partecipation? Il caso di INSITO, una metodologia integrata per la costruzione sociale e partecipativa di una conoscenza territoriale. Presentazione a cura dell’Associazione culturale Izmo
14. Progetti, esperienze ed esigenze. Comunicazioni di iscritti al network, (Come2discuss, Alice Cittone, Gabriele Cazzulini)

Sede del Convegno è il Future Centre Telecom Italia, San Marco 4826 – San Salvador (vicino a Rialto) Venezia.

Dalla stazione Santa Lucia vaporetto fermata Rialto, linee 1 e/o 2
Il convegno sarà trasmesso in streaming sul sito demotopia.net. Tramite il sito sarà possibile inviare domande o porre osservazioni ai partecipanti al convegno.

Scarica il pdf del convegno. Ti puoi registrare da qui.

Maggiori informazioni:

Demotopia.netDemotopia social netorkTerzo Veneto